Perché liberarsi del superfluo può essere tanto difficile?

Marie Kondo nel 2014 con la pubblicazione di “The life Changing Magic of Tyding Up” ha catturato un pubblico fatto di milioni di persone con il concetto del vivere in spazi semplici, privi di disordine. Purtroppo però, entrare nel mondo minimalista, non è così semplice per tutti.  

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Lei parte consigliando di conservare solo gli oggetti che “trasmettono gioia”, cosa che può apparire bizzarra, ma la parte emotiva legata alle cose, diventa un fulcro importante del metodo.

Anche nella serie TV, che ha spopolato su Netflix, si vedono queste famiglie che adottano con grande successo il suo metodo e svuotano la casa da ogni cosa che davvero non sentono più renderli felici.

Per alcuni di noi potrebbe sembrare inconcepibile conservare un cappotto passato di moda, o qualcosa che sappiamo non metteremo più, mentre per altri può risultare un pensiero impossibile da concepire, in quanto la sola idea di separarsi dai propri beni o di disfarsi di qualcosa, crea un disordine emotivo immenso, persino insormontabile.


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Per aiutarci a comprendere il fenomeno dell’attaccamento, molto più “normale” di quanto in realtà si pensi, è venuta in aiuto una ricerca del 2011 pubblicata dal Journal of Consumer Psychology, nella quale viene creata una correlazione tra ciò che hai e ciò che sei, legando in questo modo l’oggetto al valore che diamo a noi stessi, alla nostra autostima. Se ci pensate è un connubio importante.

Parrebbe, al contrario di ciò che sarebbe facilmente ipotizzabile, che sia più difficile liberarsi di beni senza alcun valore monetario, quindi le persone non ragionano sul denaro speso per l’oggetto, ma davvero su ciò che li lega ad esso. A supporto di questa tesi, è stato fatto uno studio sulle persone che hanno subito furti in casa. E’ emerso che reputano spesso maggiore il danno psicologico rispetto alla perdita finanziaria. Quello che definiamo valore affettivo arriva ad avere una valenza decisamente più importante rispetto al lato economico.

Sempre secondo i ricercatori, questo “accanimento al non distacco”, potrebbe essere visto come un modo per aggrapparsi a oggetti che vengono collegati ad un valore che si ha di sé. Ovviamente ciascuno ha il proprio metro e questo porta a dire che le aree in questione possono essere diverse.


Il valore che abbiamo di noi stessi può essere collegato all’aspetto fisico, piuttosto che all’approvazione altrui, o al proprio successo, alla famiglia e così via.

In ogni singolo caso il rischio è quello di associare alla sfera di valore, un oggetto o una serie di essi. Per esempio: se il successo fosse un valore estremamente importante, il rischio sarebbe quello di avere difficoltà ad eliminare oggetti che lo comprovino.

Il fatto di declutterarli potrebbe significare perdere i successi ottenuti, i traguardi raggiunti o i riconoscimenti avuti. Potrebbe essere il caso del materiale di una ricerca che ha portato ad un dato risultato, piuttosto che un oggetto costoso ricevuto durante un’onorificenza.

Diversamente, nei casi in cui le relazioni diventano un valore imprescindibile e un metro di autostima, pensare di rinunciare a oggetti donati da persone care, diventa uno scoglio insormontabile. Per queste persone le cose ricevute in dono sono rappresentative dell’identità, e delineano una persona amata e apprezzata. Ecco che disfarsi del superfluo in quel caso, significa svalutare i rapporti.

Il nodo cruciale che si pone a questo punto è capire se vale la pena tenere o eliminare….

Non sempre facile arrivare ad una “sentenza” in tal senso, anche perché per molti rappresenta davvero un limite: liberarsi di oggetti può diventare un evento non solo spiacevole, ma persino triste e doloroso.

Resta il fatto che molto probabilmente si va avanti a combattere con un senso di frustrazione e inadeguatezza che lascia poca tregua.

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Allora cosa occorre fare nel momento in cui, guardando la cucina il caos fa salire sentimenti negativi?

O ogni volta che aprendo l’armadio, non si prova senso di leggerezza, ma si viene travolti dalla confusione?

Occorre domandarsi se è peggio l’idea e la sofferenza, di lasciar andare ciò che ingombra, o essere tediati costantemente dal troppo, desiderando una vita più semplice?

Il lavoro che svolgo con le persone che hanno questo genere di difficoltà è di accompagnamento lento verso la consapevolezza che, avere troppo non aiuta a vivere meglio, anzi rende le giornate molto complesse, faticose e energeticamente provanti.

Riuscire a fare il salto, non è mai semplice, ma è un processo al quale si arriva attraverso esercizi mirati e regalando al cliente “occhi nuovi” con i quali guardare alla vita presente e desiderare quella futura.